Abbiamo grandi progetti per il futuro!”, ha twittato il primo ministro ungherese Viktor Orbán dopo una telefonata con Donald Trump a poche ore dalla fine delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Dall’Argentina a Israele fino al Regno Unito, la vittoria di Trump ha mandato in estasi i leader dell’estrema destra. La presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni ha ricordato che il suo paese e gli Stati Uniti sono legati da “un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia”. In realtà, le congratulazioni a Trump sono arrivate da politici di tutti gli schieramenti. “Guardo con fiducia alla nostra stretta collaborazione e agli interessi comuni tra gli Stati Uniti e i Paesi Bassi”, ha detto Dick Schoof, leader della coalizione di governo olandese, dominata dall’estrema destra. “In quanto primi alleati degli Stati Uniti, rimaniamo uniti a difesa dei nostri valori condivisi di libertà, democrazia e impresa”, ha aggiunto il primo ministro britannico Keir Starmer, laburista.

L’anno delle elezioni

Senza dubbio il 2024 è stato un anno eccellente per l’estrema destra, pessimo per i governi in carica e complicato per la democrazia in tutto il mondo. Alla fine, però, non sarà peggio del 2016, l’annus horribilis che portò la Brexit e la prima vittoria di Trump. Il motivo è tanto semplice quanto deprimente: come ho spiegato nel libro _The far right today _(L’estrema destra oggi), l’estrema destra ha avviato ormai da molti anni un percorso di moderazione e normalizzazione. Quello appena finito non è stato un anno di trasformazione politica, ma il frutto dei cambiamenti cominciati all’inizio del secolo. È solo che non ci avevamo fatto caso.

Il 2024 è stato definito “l’anno delle elezioni”. Circa settanta paesi e quasi due miliardi di persone sono andati a votare. Tuttavia, non sempre queste elezioni sono state libere e regolari. Molte volte il voto – nell’Unione europea, in India e negli Stati Uniti – ha premiato l’estrema destra. E i mezzi d’informazione di tutto il mondo si sono interrogati sulla sorte della democrazia.

In un giudizio sorprendentemente ottimistico – elaborato prima, va detto, delle elezioni negli Stati Uniti – l’Economist aveva concluso: “La democrazia si è dimostrata ragionevolmente resistente nei circa quaranta paesi in cui le elezioni sono state libere, con una buona affluenza alle urne, poche manipolazioni e violenze, e dimostrazioni di buonsenso dei governi in carica”. Questo giudizio però era accompagnato da un avvertimento in vista delle presidenziali statunitensi: “Tuttavia, ci sono segnali di nuovi pericoli, tra cui l’ascesa di una nuova generazione di leader autoritari innovativi e tecnologici, la frammentazione dell’elettorato e la presenza di leader sconfitti che cercheranno di continuare a governare dalla loro tomba politica”.

Ci sono molti modi di intendere la distinzione tra destra e sinistra: io tendo a definire le ideologie di destra come quelle che considerano le diseguaglianze sociali giuste o naturali e pensano che lo stato non debba fare nulla per creare società più ugualitarie. All’interno di questo ampio gruppo, la destra moderata sostiene le istituzioni fondamentali e i valori della democrazia liberale. L’estrema destra no. Alla sua radice ci sono il nativismo, una forma xenofoba di nazionalismo, e l’autoritarismo, cioè il culto dell’ordine e della disciplina.

Il presidente argentino Javier Milei. Buenos Aires, Argentina, 4 dicembre 2024 (Magali Druscovich, The New York Times/Contrasto)

La sua corrente più estremista rifiuta del tutto la democrazia – cioè l’idea che i cittadini eleggano il loro leader a maggioranza – mentre la destra radicale si oppone solo ad alcuni elementi della democrazia liberale, in particolare ai diritti delle minoranze e alla separazione dei poteri. Negli ultimi anni, tuttavia, una parte di questo gruppo si è ulteriormente radicalizzata, per esempio attaccando le istituzioni democratiche (come ha fatto il primo ministro Viktor Orbán in Ungheria) oppure rifiutando l’esito delle elezioni (come Donald Trump negli Stati Uniti), pur senza arrivare a difendere apertamente i sistemi dittatoriali. Anche questi partiti si possono considerare di estrema destra.

Se ci concentriamo esclusivamente sui risultati dell’estrema destra alle elezioni legislative, vediamo non solo che nel 2024 hanno vinto tutti i suoi partiti, ma anche che la maggior parte di loro ha stravinto. Con due eccezioni. La prima riguarda il partito bulgaro Rinascita, che ha ottenuto risultati quasi identici nelle due elezioni legislative organizzate nel paese. La più importante e sorprendente è arrivata invece dall’India, dove il partito al potere Bharatiya janata party (Bjp) – che secondo le previsioni avrebbe dovuto schiacciare gli avversari – ha perso voti, pur rimanendo in carica. Tolti questi due esempi, in tre casi l’estrema destra è avanzata di poco (meno del 2 per cento) e di molto (oltre il 10 per cento) in altri tre, come in Francia e nel Regno Unito.

A questi dati dovremmo aggiungere anche i buoni risultati alle elezioni presidenziali di Jussi Halla-aho, leader del Partito dei finlandesi in Finlandia, e dello stesso Trump, oltre all’esito delle elezioni europee, dove i partiti di estrema destra hanno conquistato circa un quarto dei voti e quasi duecento dei 720 seggi del parlamento europeo. Due dei tre partiti con più deputati a Strasburgo sono di estrema destra: il francese Rassemblement national di Marine Le Pen è il primo, e Fratelli d’Italia (FdI) di Giorgia Meloni è il terzo. Anche se l’estrema destra è stata l’unica famiglia ideologica a vincere in quasi tutta l’Unione europea, al livello nazionale e regionale ci sono state sottili differenze. In alcuni paesi la destra ha sostanzialmente cambiato forma. In Italia, per esempio, le percentuali sono rimaste più o meno le stesse, ma la Lega di Matteo Salvini ha ceduto buona parte dei voti a FdI. In molti paesi del Nordeuropa, invece, l’estrema destra è andata relativamente male, soprattutto il Partito dei finlandesi (Ps) e i Democratici svedesi (Sd), due partiti che formano o sostengono i governi di coalizione nazionali.

Le elezioni legislative sono ovviamente in primo luogo delle consultazioni nazionali, ma alcuni analisti hanno interpretato i successi dell’estrema destra alla luce del contesto politico più ampio. Hanno notato una “tendenza globale a cambiare i governi in carica”, spesso collegata alle risposte (tardive) alla pandemia di covid-19 e alla guerra russo-ucraina. John Burn-Murdoch, il principale data journalist del Financial Times, ha sintetizzato così la questione: “Tumulto economico + tumulto sociale = risultati elettorali del 2024”. Questa spiegazione sintetica riflette a grandi linee l’interpretazione più diffusa del successo dell’estrema destra negli ultimi quaranta-cinquant’anni. Indubbiamente è vero che il successo dell’estrema destra è alimentato dalle crisi economiche e politiche che creano ansia sociale, ma non ci s’interroga abbastanza sul perché debba essere per forza così. È abbastanza logico che sia stata la destra ad approfittare della cosiddetta “crisi dei rifugiati” del 2015 o degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, data la reazione islamofoba che hanno scatenato, ma non si capisce perché abbia tratto vantaggio anche delle altre crisi degli ultimi vent’anni: la grande recessione, la pandemia di covid-19 e la guerra russo-ucraina. Nessuno di questi eventi è direttamente legato alla caratteristica fondamentale dell’estrema destra: il nativismo, cioè il nazionalismo xenofobo.