Invecchiando diventi un immigrato di un paese scomparso, un paese che sopravvive ancora nella memoria di qualche tuo coetaneo ma che per i giovani è inimmaginabile, se non incomprensibile. Potremmo chiamarlo “la terra del prima”: prima di qualche grande cambiamento, prima che cominciassimo a fare le cose in un certo modo, prima che decidessimo cosa è inaccettabile, prima che scoprissimo qualcosa di nuovo a proposito di un vecchio problema. Sono stata plasmata da un mondo che non esiste più. Non riesco a immaginarmi a diciott’anni nel mondo di oggi, perché per farlo dovrei immaginare una persona completamente diversa. Quella persona non esiste, invece io, come tutti, esisto come effetto cumulativo delle mie esperienze, delle mie opportunità o della loro mancanza e dei miei ideali.

Gran parte di ciò che mi ha formata e segnata da ragazza, rendendomi prima una femminista solitaria e poi una femminista tra le tante, riguarda l’indicibile violenza contro le donne, con il suo corollario di denigrazione, molestie e costrizione al silenzio. Era un’epidemia, eppure ogni episodio veniva trattato come un fatto isolato. Nessuno collegava i crimini alla cultura che considerava la violenza contro le donne come una forma di intrattenimento, negando che la sua esistenza avesse un qualche significato, facendo in modo che la prevenzione e la giustizia fossero tanto deboli quanto rare. Quelle forze esistono ancora, ma sono state affiancate da qualcos’altro: un dibattito potente che ha il coraggio di fare i nomi, che parla chiaramente, che rifiuta le scuse, le coperture, le giustificazioni.

In molte giovani donne vedo chiarezza e fiducia. Forse la vecchia generazione ha piantato i semi, ma queste ragazze sono lo splendido raccolto. Sono la vittoria

Per me questo dibattito è entusiasmante. Ma è anche un paradosso, perché ho trascorso gran parte dell’ultimo decennio leggendo storie raccapriccianti di stupri, torture, omicidi, persecuzioni e violenza domestica raccontate direttamente dalle sopravvissute. Sono entusiasta davanti al cambiamento, anche se non è sufficiente, e sono stremata dall’immersione nella violenza (soprattutto maschile) e nell’annientamento (soprattutto femminile). Almeno, però, abbiamo individuato il problema.

La versione diciottenne di me oggi non esiste, ma esistono molte diciottenni che mi dimostrano quanto le cose siano cambiate e attraverso la loro splendida insubordinazione e le loro ambizioni sconfinate creano la promessa di ulteriori cambiamenti. L’anno scorso una ragazza che conosco ha pubblicato un saggio in cui raccontava l’odissea notturna vissuta accompagnando un’amica in ospedale a procurarsi un kit per la raccolta delle prove in caso di stupro. Sono rimasta estremamente sorpresa da quanto nella sua visione del mondo fossero scontate verità e prese di posizione per le quali molte di noi hanno lottato. La ragazza aveva tra le mani questo nuovo strumento e sembrava non aver mai avuto i dubbi che insidiano la capacità delle persone di riconoscere ciò che è appena accaduto: quella voce che ti dice “stai esagerando”, un altro modo per dire “stai avendo le sensazioni sbagliate”, un altro modo per dire “le tue sensazioni creano problemi agli altri, quindi stroncale sul nascere”.