Il sentiero che conduce all’ultimo ghiacciaio del Venezuela comincia tra alberi di banani e una ricca vegetazione tropicale. La Sierra Nevada di Mérida è una catena montuosa imponente che fiancheggia il lato meridionale della città. Mérida stessa sorge su un altipiano di circa 1.500 metri sul livello del mare e le sue cime, che raggiungono quasi i cinquemila metri, sono le più alte del paese. Per arrivare in vetta, dove il ghiacciaio di Humboldt si sta sciogliendo sotto il sole invernale, bisogna camminare di buon passo a un’altitudine considerevole. Mentre il ghiaccio sta scomparendo la vegetazione sta avanzando.

Il Venezuela è il primo paese del mondo in cui i ghiacciai permanenti sono scomparsi a causa del cambiamento climatico. Nel 2023 un gruppo di ecologi e botanici dell’università locale di Mérida ha scalato il picco di Humboldt per documentare quello che si sta perdendo. Gli scienziati, tutti venezuelani e alpinisti esperti, hanno stabilito di partire da est, dopo essersi registrati alla stazione dei ranger di Raiz de Agua per poi salire fino al passo del Cardenillo, dal nome di una varietà di rame color blu-verdastro che s’intravede tra le rocce. Dopo altri due giorni di cammino avrebbero allestito il campo base nella Laguna Verde, da dove alle prime ore del mattino il ghiacciaio è ancora visibile: una macchia bianca sulla parete nord del picco di Humboldt, il secondo più alto del paese. Della spedizione facevano parte la fisica e microbiologa Alejandra Melfo, l’ecologo Luis Daniel Llambí, il botanico e ingegnere forestale Henrique “Quique” Gámez, Barbara Huber, Roxybel Pelayo e Cherry Rojas, tutti biologi dell’università delle Ande di Mérida. Li accompagnavano Beatriz Pérez, una lichenologa dell’università del Táchira, e il marito di Huber, Cristóbal Rodríguez. Il suo compito era aiutare Huber a raccogliere campioni d’acqua dallo scioglimento del ghiacciaio. Susana Rodríguez, guida alpina e biologa, era a capo di un gruppo di otto aiutanti e portatori incaricati della logistica.

Urla di gioia

Sono stato invitato ad accompagnare la spedizione come giornalista e cronista. Il ghiacciaio di Humboldt mi affascinava da tempo. Sono cresciuto nelle Alpi italiane e molti dei miei ricordi d’infanzia sono legati al ghiaccio ad alta quota. Con il passare degli anni ne ho visto sempre meno sulle cime. Speravo di ammirare la distesa di ghiaccio almeno una volta: un addio sentimentale. L’obiettivo del gruppo era più pragmatico: raggiungere l’ultimo ghiacciaio rimasto in Venezuela prima della sua totale scomparsa e raccogliere campioni e dati per studiare in che modo le forme di vita si diffondono sul terreno un tempo coperto dal ghiaccio. Ogni scienziato aveva il compito di studiare un aspetto diverso dell’ecosistema che si sta formando mentre il ghiacciaio si ritira.

La spedizione si è concentrata su diversi transetti, cioè i segmenti di roccia che documentano la presenza del ghiacciaio in un determinato anno: 1910, 1952 e 2009. Il gruppo ha potuto confermare i dati grazie alle fotografie. Per esempio, il transetto del 1952 rappresenta il punto dove la parete di ghiaccio arrivava circa settant’anni fa, e oggi si trova 240 metri più in basso rispetto a ciò che rimane del ghiacciaio. I primi transetti sono molto più vicini tra loro rispetto ai più recenti, e questo significa che il ritiro del ghiacciaio ha subìto un’accelerazione negli ultimi anni. Una volta saliti sulla montagna, gli scienziati si sono spostati da un transetto all’altro per registrare la diffusione degli organismi viventi, il più delle volte individuando gli esemplari a occhio nudo.

Questa diffusione delle forme di vita è chiamata successione primaria: indica come le cellule organiche hanno colonizzato la Terra in milioni di anni, dai microrganismi, che Huber studia alla massima altitudine raccogliendo campioni nel campo di ghiaccio, alle piante fino agli insetti e agli uccelli. Il quarto giorno, quando Gámez ha individuato la quindicesima specie di pianta diversa nel transetto del 1952, il gruppo ha urlato di gioia: c’era un esemplare in più rispetto a quelli registrati nella spedizione precedente del 2019. La vita si sta spostando verso altitudini più elevate.

Registrare quanto tempo impiegano muschi e licheni a colonizzare la roccia nuda in cima a una montagna può sembrare un’attività scientifica poco rivoluzionaria, ma nell’epoca del cambiamento climatico è assolutamente rilevante. I ghiacciai stanno scomparendo in tutto il mondo, dalle calotte polari alle principali catene montuose. Il ritiro è più visibile sulle vette più alte delle regioni tropicali, che nel 70 per cento dei casi si trovano nelle Ande, in Sudamerica.

Il concetto stesso di scomparsa del ghiacciaio è oggetto di discussione. Le distese di ghiaccio hanno raggiunto la loro massima estensione circa ventimila anni fa e da allora si sono sempre ritirate. L’Humboldt è già più piccolo di un campo da calcio e secondo alcuni scienziati non può più essere definito un ghiacciaio. Ha perso la capacità d’influenzare l’ambiente circostante molto tempo fa e, in base alla maggior parte delle stime, scomparirà entro un paio d’anni. Altri invece sostengono che rimarrà una testimonianza dell’esistenza di ecosistemi di alta montagna in Venezuela, noto soprattutto per le sue spiagge caraibiche e le foreste pluviali tropicali, ma dove cinquant’anni fa la neve era sufficiente per organizzare una gara internazionale di sci.