Alla stazione di Qamishli sembrano essersi già dimenticati dell’uomo che ha rimesso in funzione il treno. Le guardie fanno finta di non conoscerlo: “Chi? Nazem Hussein. Oh, purtroppo è morto. Un incidente, certo. Qui fuori, a sera tarda, tra i vecchi vagoni”.
Di Nazem è rimasta solo una fotografia stampata su un foglio A4, appesa nel piccolo ufficio della rimessa. È stata scattata poco prima che tutto cominciasse ad andare storto. Quando il confine con l’Iraq sembrava raggiungibile, stava per essere inaugurata una linea ferroviaria ad alta velocità e Nazem e il suo treno erano finiti in tv. La foto è un fermo immagine della trasmissione. Nazem guarda dritto nell’obiettivo con occhi fieri. È stato lui a ripristinare con le sue mani, metro dopo metro, un collegamento ferroviario d’importanza cruciale. Dopo l’intervista, però, sono arrivate le minacce. Fouaz Mahmoud, l’uomo che oggi si occupa del treno (o di ciò che ne è rimasto), vuole che la foto rimanga dov’è, sopra un disegno con motori diesel e scritte in francese e in italiano, risalente ai tempi in cui Qamishli era ancora la porta verso l’Europa. Per sentirsi a casa, ha fatto montare dei sedili di un treno su blocchi di cemento: “È arte”, dice.
Oltre che ferroviere, Fouaz è anche attore e regista. E incarna diverse contraddizioni, almeno apparenti: è musulmano ma ha fatto battezzare i figli in una chiesa cristiana e, pur sostenendo la causa curda, racconta – non senza orgoglio – di aver incontrato il presidente Bashar al Assad dopo uno spettacolo teatrale. In Siria è possibile, la coerenza assoluta non esiste. “Sembri molto giovane”, gli avrebbe detto Assad. Fouaz ha sessantaquattro anni e i capelli grigi, ma ha l’agilità di un ventenne. Entra nella rimessa, non ancora ripulita dalle macerie dell’ultimo attacco aereo, e salta sulla locomotiva rossa che è al centro della nostra storia. “L’americana”, prodotta dalla General Motors. LDE 1800, numero 352, consegnata nel febbraio del 1976. Sembra impossibile che nel ventunesimo secolo un oggetto simile rivesta un ruolo, anche solo secondario, in un conflitto internazionale. Eppure è così. A bordo di questo treno Nazem voleva condurre i curdi della Siria verso l’indipendenza.
Qamishli – una grigia città di confine avvolta in un’eterna coltre di smog, piena di bar dove la gente sorseggia latte di leone per dimenticare i drammi della vita – sarebbe un tutt’uno con la turca Nusaybin se non fosse per i binari che le separano.
La linea Berlino-Baghdad, altrimenti detta “la grande ferrovia di Baghdad”, fu progettata alla fine dell’ottocento per collegare la Germania e la capitale dell’Iraq. Nata dalla “spinta verso Oriente” dell’ultimo kaiser tedesco, conquistata dai britannici, sfruttata dai francesi, oggetto di contesa nella prima guerra mondiale, completata durante la seconda. Il leggendario percorso dell’Orient Express e del Taurus Express. Teatro di storie e colpi di scena sorprendenti.
Per centinaia di chilometri le rotaie segnano il confine tra Siria e Turchia, una linea di demarcazione artificiale all’interno del mondo arabo. Gli abitanti della zona dicono di vivere “sopra i binari” (in Turchia) o “sotto i binari” (in Siria). Oggi la linea è nascosta da un muro di cemento eretto dai turchi e alto diversi metri. L’Europa contribuisce alla sorveglianza del confine.
Le grandi potenze europee che un tempo si contendevano questo ponte verso il mondo arabo, oggi bloccano ogni passaggio. Un treno da Baghdad a Berlino attraverso la Siria sarebbe un incubo per i leader politici: immaginate cosa succederebbe se i profughi lo usassero per arrivare in Europa. Anche così, la vecchia linea Berlino-Baghdad, arrugginita e in stato di abbandono, continua a mietere vittime. Nell’ottobre del 2019 le truppe turche sono entrate in Siria passando per le sue stazioni, per anni usate come uffici di dogana. Erano in marcia verso sud, lungo l’autostrada M4. La Turchia vuole un nuovo confine con la Siria: non più le vecchie rotaie, ma la moderna autostrada. Asfalto liscio, adatto al trasporto militare pesante e, soprattutto, in pieno territorio curdo.
Gli statunitensi, allora presenti nella Siria nordorientale, avevano inizialmente concesso ampio spazio di manovra ai turchi. Washington non ha voluto opporsi a un paese della Nato che aspirava a ridisegnare i confini al margine estremo del mondo arabo. Ma i russi, fedeli alleati del presidente Assad, si sono messi in mezzo. Da allora, per prudenza, gli Stati Uniti cercano di “proteggere il petrolio” in Siria. Tra le loro basi c’è una delle stazioni abbandonate. La linea ferroviaria è ancora parte dello sfondo del grande gioco delle potenze mondiali, che si scontrano in Siria da ormai più di un secolo.
Sul confine
La stazione internazionale di Qamishli si trova proprio sul confine turco, con vista su Nusaybin. L’edificio principale, circondato da vecchi alberi, non stonerebbe nella campagna francese. Dopo la prima guerra mondiale, quando l’Europa intera aveva messo gli occhi sulla linea ancora incompiuta, la Francia ottenne la concessione per costruire binari e stazioni. Per questo le ferrovie siriane hanno un nome francese: Chemins de fer syriens.
La carriera di Nazem comincia proprio qui. All’inizio ricopre la più umile delle funzioni: fa il facchino. Trascina i bagagli dei passeggeri quando arriva il treno diretto a Baghdad. È il 1996. Qamishli è lo snodo centrale del traffico ferroviario tra la Turchia e il mondo arabo. Quando raggiungono la città, i binari piegano a sud, verso l’interno.
Nazem è un giovane padre di famiglia. Ha due figlie. Il desideratissimo maschietto, Issam, è in arrivo. Il nuovo impiego è un’occasione d’oro: non per lo stipendio, ma per le condizioni di lavoro di cui godono i dipendenti delle ferrovie, a prescindere dal loro ruolo. Gli viene assegnata una stanza nell’edificio della stazione. Dovrà bastare a tutta la famiglia. Quando il treno si ferma, si aprono le porte del mondo. La moglie di Nazem, Sheikha Saleh Mustafa, spalanca gli occhi. Vede donne irachene che si coprono non solo i capelli, ma anche il volto. “A Qamishli non si usava”.
L’arrivo dei treni internazionali desta ancora curiosità in questa piccola città di confine, ma la linea ferroviaria non è più quella di una volta. Sono scomparsi i vagoni letto azzurri del Taurus Express, a bordo dei quali nel 1935 avevano viaggiato la scrittrice Agatha Christie e suo marito, un archeologo impegnato in Siria. Al massimo si vede passare una triste processione di vecchie carrozze provenienti da Gaziantep, in Turchia, e dirette a Baghdad. A causa dei conflitti lungo il confine, capita spesso che la linea sia chiusa. Sarà solo dal 2003, cioè dopo l’invasione statunitense dell’Iraq, che questa ferrovia coloniale comincerà a vivere un’inaspettata ripresa. I carichi di materiale edile diretto a Baghdad faranno sosta a Qamishli più volte al giorno. Come il convoglio che trasporta il petrolio da una raffineria irachena.
Nazem non si limita a portare i bagagli. Nel tempo libero ripara motori diesel. Diventa custode della rimessa. Quando un treno per Aleppo o per l’Iraq si ferma in mezzo ai campi, spesso è lui ad andare a risolvere il problema. Non ha i titoli necessari, ma nessuno se ne preoccupa. L’importante è che il treno riparta. “Sapeva fare di tutto”, dice Sheikha. “Per questo lo conoscevano ad Aleppo come in provincia”.
Presto il monolocale è sostituito da una casa con giardino. La famiglia si allarga. I figli diventano sette. La casa è tra due binari. A volte Sheikha ha la sensazione che il treno la attraversi. Lei e Nazem amano sentirlo sferragliare.
Stabilità e dittatura
Dal punto di vista politico, in questi anni la Siria è più stabile che mai. Non si tengono elezioni. La famiglia Assad governa con il pugno di ferro dal 1971. All’inizio della carriera di Nazem, la stazione è piena di poster di Hafez al Assad, il padre dell’attuale presidente.
Per tenere sotto controllo i curdi che vivono lungo il confine, Assad padre adotta la strategia del divide et impera. Sigla un patto con Abdullah Öcalan, leader del movimento curdo Pkk. Il governo siriano sostiene per anni la rivolta curda in Turchia e si garantisce così la lealtà dei leader curdi in Siria. Un’astuzia le cui conseguenze si faranno sentire.
Dopo la morte di Hafez, nel 2000, gli succede il figlio Bashar. Il giovane dittatore è al potere da appena quattro anni quando i suoi servizi di sicurezza reprimono con la forza le proteste dei curdi a Qamishli. I morti sono almeno dieci, e ci sono molti arresti. Migliaia di curdi fuggono in Iraq attraverso le montagne.
Qamishli è circondata da giacimenti petroliferi, ma la maggioranza curda non ne trae beneficio. Nella Siria di Assad i terreni agricoli dei curdi sono occupati dagli arabi e il possesso di libri in curdo è punito con la prigione. Nazem non può parlare la sua lingua con i colleghi in stazione. Si tiene lontano dalla politica. Ogni tanto va ad Aleppo, la seconda città della Siria, la cui stazione principale si chiama non a caso Baghdad, e porta con sé il figlio Issam. Si accorda con il macchinista perché il bambino possa guidare il treno per un breve tratto: non è mai troppo presto per imparare.
Nazem va in Turchia più spesso che può per portare le locomotive a Nusaybin. Lì compra pane e tè turco per Sheikha. In quanto ferroviere può varcare il confine, dove troneggia un enorme ritratto di Hafez al Assad, simbolo dell’inamovibilità del regime.
Solo tre giorni
All’improvviso però, nel 2011, arrivano le primavere arabe. Anche a Qamishli si protesta contro Assad. I curdi, che qualche anno prima avevano visto la loro rivolta repressa in un bagno di sangue, abbandonano il dittatore. Qamishli diventa la capitale del Rojava, la nuova regione curda che gode di un’autonomia de facto.
Nel novembre del 2012, mentre la rivoluzione cede il passo a una guerra brutale, il treno compie il suo ultimo viaggio, con grande tristezza dei ferrovieri. I capi delle ferrovie rimangono fedeli ad Assad. Vogliono impedire a tutti i costi che i curdi si impossessino dei treni. I mezzi migliori vengono portati ad Aleppo. A Qamishli restano solo carrozze arrugginite, inutilizzabili secondo il regime. Per Nazem cominciano anni difficili. Alla stazione non ha più niente da fare. Il suo settimo figlio, un maschietto, nasce con un grave handicap: una deviazione della colonna vertebrale. I combattenti curdi, che si presentano come “compagni”, gli requisiscono la casa per via della posizione strategica.
Nazem è costretto a trasferirsi in un appartamento di servizio di fronte alla stazione sud di Qamishli, una scatola di mattoni in stile sovietico lungo la linea interna che porta alla città di Al Hasaka. I paesi europei non sono stati gli unici a mettere il proprio marchio sulle ferrovie siriane, l’hanno fatto anche i russi. L’appartamento è senza giardino e pieno d’infiltrazioni.
I curdi hanno il vento in poppa. I giornali occidentali tessono le lodi del Rojava. I militari americani addestrano e armano i combattenti che affrontano il gruppo Stato islamico (Is). Il loro territorio si espande giorno dopo giorno. A un certo punto arriva a occupare un terzo della Siria.
Per strada la gente invoca democrazia e diritti per le donne. Ovunque si vedono poster con il volto di Öcalan. Arabi e cristiani lamentano di essere i nuovi oppressi. Ma per i curdi siriani poter parlare la propria lingua e sentirsi finalmente veri cittadini nella loro terra è una grande conquista. La regione ha bisogno di un treno, dicono i leader del Rojava. Serve per i trasporti militari tra Qamishli e una piccola stazione abbandonata in mezzo ai giacimenti petroliferi in direzione del confine iracheno. Il nome della stazione è Kubur el Bid. All’inizio del novecento l’area fu dissodata dai cristiani assiri in fuga dagli squadroni della morte turchi. Ora i combattenti curdi ne hanno fatto il loro campo base. Kubur el Bid è isolata. Bisogna rifornirla di armi. I servizi d’intelligence curdi, Asayish, cercano di attivare una linea. In tutta la Siria nordorientale c’è un solo uomo che può aiutarli: Nazem Hussein.
A Nazem bastano tre giorni. Sa cosa serve: la locomotiva sovietica del 1974, realizzata in Ucraina ma chiamata dai suoi colleghi “la russa”, non funzionerebbe nel caldo dell’estate siriana. Una delle locomotive americane è ancora in buono stato. Quando, tra mille cigolii, il veicolo si mette in moto, Nazem comincia a sognare. Un collegamento militare è necessario, certo. Ma non sarebbe bello se il treno riprendesse a trasportare civili, come una volta? Sui binari intorno alla stazione ci sono diversi vagoni della Germania Est. I sedili sono sfondati, il pavimento è pieno di buchi. Ma non importa.
Sì, Nazem riattiverà il treno. In Siria, nel bel mezzo della guerra. Nonostante l’opposizione dei vertici delle ferrovie ad Aleppo. Su una linea dal passato insanguinato. Il confine turco è chiuso. L’Europa è fuori portata. Ma Nazem vuole raggiungere il confine con l’Iraq.
È politica
Sheikha è preoccupata. Rimane nel loro piccolo appartamento, mentre Nazem passa le giornate alla stazione. Con lei c’è il figlio più piccolo, che non cammina bene. A volte dice al marito: “Hai dei figli, dedica un po’ d’attenzione anche a loro”. Ma niente trattiene Nazem.
Di certo non può completare da solo quest’impresa titanica. Così prende come assistente Fouaz, che al lavoro in stazione affianca quello di attore e regista. Per lui l’idea di riattivare il treno è “arte”. Insieme, Nazem e Fouaz fondano il “Gruppo dei 18”. Diciotto ferrovieri provetti, con decenni di esperienza.
Alla fine del 2017 nella zona est di Qamishli la solitaria locomotiva nera attraversa la pianura siriana lungo la vecchia linea Berlino-Baghdad. Procede verso Kubur el Bid, in direzione del confine iracheno. È un viaggio di prova. La locomotiva è verniciata di nero in omaggio all’Asayish. Nazem la fa condurre al figlio Issam, che a soli diciannove anni è già un macchinista esperto.
Il regime ha un treno ad alta velocità, un moderno modello coreano che prima della guerra viaggiava da Aleppo a Damasco a 120 chilometri orari, una velocità da capogiro per le ferrovie siriane. I curdi non possono essere da meno. La loro locomotiva americana non sarà nuovissima, ma ha grandi potenzialità. L’obiettivo è arrivare a 50 chilometri orari, dai 40 che rappresentavano la velocità massima sulla tratta da Qamishli all’Iraq sotto il regime. La televisione locale viene a filmare il treno risorto.
Un rumore sospetto
Ma poi tutto comincia ad andare per il verso sbagliato. Quando Kubur el Bid è ormai all’orizzonte, arrivano notizie inaspettate. I vertici curdi non vogliono più il treno. La locomotiva deve tornare nella rimessa. Il motivo ufficiale è che si corrono troppi pericoli: c’è il rischio di esplosioni sulle rotaie. Il regime fa pressione sia sui curdi sia su Nazem. “Il treno dava potere alle autorità curde e il regime non poteva accettarlo”, spiegherà Issam.
Qamishli è la capitale del Rojava, ma il regime siriano continua a esercitare un potere occulto sulla zona. L’aeroporto, un quartiere residenziale, numerose scuole e strutture pubbliche sono ancora in mano ad Assad, il cui esercito ha allestito diversi posti di blocco nelle strade. I vertici curdi, occupati nella lotta contro l’Is, lo tollerano. Gli analisti occidentali sospettano che si sia siglato una specie di patto informale.
Neanche il direttore regionale delle Chemins de fer syriens ha lasciato Qamishli. È stato bandito da entrambe le stazioni, ma ha conservato un ufficio in una vecchia biglietteria, vicino a un posto di blocco presidiato dalle truppe di Assad.
I macchinisti sgraditi all’amministrazione curda si ritrovano qui. Tutti gli ex ferrovieri continuano a ricevere lo stipendio, anche se ufficialmente non lavorano da anni. In questo modo il regime fa capire di non aver abbandonato Qamishli e di non aver dimenticato nessuno. Solo Nazem, leader dei ferrovieri ribelli, riceve lo stipendio con mesi di ritardo, dopo molte sollecitazioni. Stavolta Aleppo fa sul serio: il progetto del treno va abbandonato.
Nazem non esita un istante. Esce di casa, supera l’insegna delle ferrovie sotto il portico, attraversa la strada buia e si dirige alla stazione. Da quando c’è la guerra le finestre sono chiuse con pannelli di legno. Uomini armati in uniforme verde presidiano l’accesso.
Ahmed lo sta aspettando. Mine, dice. Piazzate da un intruso. Come altro spiegare quel rumore? Nazem si fida di Ahmed: hanno entrambi un figlio disabile e condividono esperienze simili. A volte, dopo aver finito di lavorare, bevono un tè insieme per non dover tornare subito a casa. I due non hanno dubbi: è opera del regime. Nazem teme che l’intruso sia arrivato passando per i sentieri che collegano la stazione a un paese nelle mani di una famiglia vicina ad Assad. Ci vuole solo un’ora di cammino.
Bisogna capire da dove veniva il rumore, trovare gli esplosivi, affrontare il responsabile. Prima che cominci una nuova giornata di lavoro, per evitare che il Gruppo dei 18 corra dei rischi. Nazem ha con sé solo una torcia. Ahmed imbraccia il suo kalashnikov. I due si addentrano nel buio fra i treni abbandonati sull’enorme spazio della stazione.
Salgono sui vagoni di questo museo ferroviario a cielo aperto. “Société anonyme franco-belge”, si legge su una vecchia targhetta di rame sopra le ruote di un vagone merci arrugginito. “1911”. Il veicolo è arrivato in Siria da una fabbrica di La Croyère, in Belgio, più di un secolo prima. All’improvviso si sente uno sparo. Nazem si accascia sulle rotaie. È ancora vivo. L’ambulanza arriva subito. All’ospedale Nazem è operato d’urgenza. Sua moglie e il primogenito gli sono vicini. C’è speranza. Ma quando il sole sorge su Qamishli, il volto di Nazem si fa livido. Nazem muore a 49 anni, lasciandosi dietro sette figli.
“È stato un incidente”, sono le sue ultime parole. “A cosa serve il rancore?”. Nel corridoio, con il kalashnikov ancora in mano, c’è l’uomo che ha premuto il grilletto. L’uomo con cui Nazem beveva tè e parlava dei suoi problemi familiari. Il custode Ahmed.
Ahmed racconta la sua versione. Nazem se ne stava di sotto, sulle rotaie, con la torcia in mano, mentre lui era su un vagone. Voleva aiutarlo a salire. E a quel punto, per errore, ha premuto il grilletto. L’arma era pronta a sparare: da un momento all’altro potevano ritrovarsi faccia a faccia con l’intruso.
Il colpo è partito davvero per sbaglio? Alla stazione non c’è traccia di mine. Ahmed viene arrestato dai colleghi dell’Asayish. Non è la prima volta che un agente inesperto preme accidentalmente il grilletto di un kalashnikov, ma in genere non ci sono vittime. “Non sappiamo cosa sia successo davvero”, dice Sheikha.
Circa una settimana dopo la morte di Nazem, è lei a firmare con l’impronta del pollice una dichiarazione in cui s’impegna a non denunciare Ahmed, che può così uscire di prigione e tornare al lavoro. L’ultimo desiderio del marito era che la sua morte fosse considerata un incidente. Si è spento sui binari che erano la sua vita. “Morire per il treno era il suo destino”.
Dopo la morte di Nazem, il Gruppo dei 18 si scioglie. Solo Fouaz continua a usare regolarmente il treno. Bisogna farlo, altrimenti la batteria si scarica. A Kubur el Bid e tra i pozzi petroliferi vicino all’Iraq non si può andare, ma ci si può spingere fino alla stazione internazionale sul confine turco. Ogni tanto Fouaz aziona il fischio del treno: “Così facciamo vedere che siamo ancora vivi. Fa bene al morale”.
I binari segnano ancora il confine tra i due paesi? Secondo i turchi no.
Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha paura del piccolo stato dei curdi siriani. Lo preoccupano i rapporti tra i vertici curdi in Siria e il Pkk, responsabile di attentati in Turchia.
Buchi nel tetto
È l’ottobre del 2019. Con un tweet, Donald Trump scarica inaspettatamente i curdi siriani. Senza il loro sacrificio le bandiere nere del califfato islamico sventolerebbero ancora nella valle dell’Eufrate. Ma l’Is è stato sconfitto, e all’improvviso la strategia diplomatica cambia. A Washington i curdi, fino ad allora i principali alleati in Siria, non servono più. La Turchia può attaccarli e avanzare lungo l’autostrada M4.
L’Europa sta a guardare, come ha fatto in altre occasioni in cui erano in gioco gli interessi curdi. I governi europei non vedono di buon occhio il Rojava. Troppi legami con il Pkk e con Assad.
Chi vive vicino al confine si allontana dai binari sui quali avanza l’esercito turco. File interminabili di persone in fuga verso sud. Proprio come era successo dopo la rivolta fallita del 2004, migliaia di profughi si addentrano nelle montagne verso l’Iraq. Dalla stazione di Qamishli, dove Nazem è morto, la sera si sentono i colpi dei mortai turchi.
Con i civili che continuano a morire, i vertici curdi prendono una decisione inevitabile. Accettano la protezione del dittatore al quale sette anni prima avevano indicato la porta, Bashar al Assad. Dopo un fine settimana sanguinoso che segna il ritorno dell’esercito siriano nel Rojava, Fouaz entra nella rimessa. Ha un sussulto: due buchi nel tetto, macerie per terra. Il treno è stato danneggiato. L’unica locomotiva americana che ancora funzionava. Proprio ora che gli statunitensi hanno piantato in asso i curdi.
Fouaz, sconvolto, valuta il danno. Il treno non è stato colpito per caso. La locomotiva russa, praticamente inservibile, è intatta. Volevano colpire quella americana e sapevano dov’era. Hanno centrato il motore. Anche i binari, si scopre, hanno subìto dei danni. Le rotaie sono ridotte a brandelli proprio in corrispondenza dello scambio per l’Iraq. Proprio dove Fouaz e Nazem le avevano riparate a mano, metro dopo metro.
Per Fouaz dietro c’è la Turchia. Secondo lui non può essere stato nessun altro. Qualcuno alla stazione deve aver trasmesso le coordinate della locomotiva e dei binari. Di chi ci si può fidare in Siria, dove i rapporti di potere cambiano alla velocità della luce? “Temiamo sia stato uno dei nostri”.
I combattenti curdi sono di guardia presso l’edificio della stazione che affaccia sul confine turco, dove è cominciata la carriera di Nazem. Si raddrizzano i berretti davanti a un vecchio vagone con la scritta “Dining car”, vagone ristorante. Niente foto, dicono gesticolando all’ombra dell’edificio in rovina.
La stazione internazionale di Qamishli è consumata dal tempo, ma quello che succede al suo interno rimane un segreto. Gloriosa testimonianza di un’epoca lontana, è un avamposto della guerra. I turchi sono una questione di secondo piano: intorno a Qamishli sorgono basi militari sia russe sia americane. Le pattuglie delle due potenze s’incrociano sulle strade di campagna tra l’autostrada e la vecchia linea ferroviaria.
Venti euro di pensione
Sheikha vive ancora nell’appartamento pieno d’infiltrazioni. Issam, il primogenito, che ormai ha 23 anni, studia letteratura curda. Per mantenere i fratelli e le sorelle lavora per l’Asayish. Come Ahmed, l’uomo che ha ucciso suo padre. Non vuole più guidare un treno. In Siria, dice, il treno ha troppi nemici.
Il regime non l’ha abbandonata. Ogni mese Sheikha preleva la pensione del marito nell’ex biglietteria delle Chemins de fer syriens. Non è un granché: 40mila sterline siriane, una cifra che corrisponde a meno di 20 euro. Ma in una famiglia con tanti figli ogni aiuto è utile.
Michel Issa, direttore regionale delle ferrovie, che fa regolarmente rapporto ad Aleppo, racconta per telefono della collaborazione tra i curdi e il regime. “Siamo una cosa sola”, dice. Se le trattative politiche andranno a buon fine, il treno riprenderà a viaggiare presto. Sotto la protezione di Assad. “Perché solo il governo può farlo ripartire”.
Ma è davvero così? Nella rimessa danneggiata, Fouaz sale sulla locomotiva americana. Accende il motore. Ignora le scintille. La locomotiva si avvia tra i borbottii. La rimessa si riempie di fumo nero. Fouaz è raggiante. Ce l’ha fatta, grazie ai pezzi trapiantati nel veicolo. La locomotiva americana funziona di nuovo. Ora bisogna riparare i binari. E poi via, verso l’Iraq. ◆ sm
Ad Aleppo hanno sede gli uffici centrali delle ferrovie. Il talento dell’ex facchino di Qamishli non passa inosservato, in particolare quando la Siria acquista nuovi macchinari per la manutenzione delle rotaie, prodotti dall’azienda austriaca Plasser & Theurer. Per usarli occorre parecchia pratica: servono i migliori tecnici del paese. Nazem è uno di loro. Per tutta la vita conserverà con orgoglio il certificato spedito dall’Austria, con il quale si attesta che è in grado di manovrare questi portentosi macchinari europei. Si riuniscono nella rimessa ogni mattina. Bevono una tazza di tè intorno alla stufa a olio, avvolti in tute grigie con il logo delle Chemins de fer syriens sulla schiena, gli abiti di lavoro di quando c’era il regime. Lavorano tutto il giorno. Il problema non è la locomotiva americana, ma le rotaie in pessimo stato. Per fortuna a Qamishli è rimasto uno dei macchinari Plasser & Theurer, e Nazem può mettere a frutto quello che ha imparato al corso seguito anni prima ad Aleppo. Ma il macchinario cede presto. I bulloni vanno avvitati a mano. Con l’inverno alle porte, per un tratto di 79 chilometri: tanto dista il confine con l’Iraq. In altri paesi sarebbe un innocente passatempo: ferrovieri disoccupati che salgono su una vecchia locomotiva per un breve viaggio. Ma in Siria un treno è molto più che un treno. . I treni e le linee ferroviarie definiscono il potere dello stato. “Se puoi far muovere i treni, allori vuol dire che governi”, dice Fouaz. Nazem ha grandi ambizioni. Il Rojava merita di più: il treno curdo deve diventare un mezzo di trasporto ad alta velocità. La sera di martedì 6 febbraio 2018 Nazem riceve una telefonata. Un custode della stazione, Ahmed, ha sentito qualcosa durante il suo giro d’ispezione. proveniente dai vagoni. Il treno è in pericolo. Chiede a Nazem di andare a controllare la sera stessa. Sheikha conserva il diploma della Plasser & Theurer in una valigetta di plastica. Insieme a un altro oggetto: un ritratto a matita che Nazem ha fatto di lei molto tempo fa, quando erano ancora giovani e vivevano alla stazione. Quando Qamishli sembrava l’anticamera del mondo. Nel ritratto, Sheikha indossa un dolcevita e ha un taglio di capelli sbarazzino. Oggi porta un lungo vestito nero e un velo intorno alla testa. La vita è dura. Sperava che Nazem fosse riconosciuto come martire: ha dato la vita per il treno. Le famiglie dei martiri ricevono aiuti economici. I vertici curdi, però, non si sono fatti sentire.
Con i civili che continuano a morire, i curdi prendono una decisione inevitabile. Accettano la protezione del dittatore
u Dopo lo scoppio della guerra civile siriana nel marzo del 2011, nel 2012 i curdi siriani costituiscono l’Amministrazione autonoma del nordest della Siria, conosciuta come Rojava, che si propone come un nuovo progetto politico basato su un sistema democratico, pluralistico, multietnico, sull’uguaglianza di genere, economica e culturale e sul rispetto dell’ambiente. u Tra il settembre 2014 e il marzo 2015 i combattenti curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg) respingono i jihadisti del gruppo Stato islamico (Is) da Kobane. Con il sostegno degli Stati Uniti, i curdi combattono contro l’Is nel nord della Siria, fino alla liberazione di Raqqa (l’autoproclamata capitale dei jihadisti), nell’ottobre del 2017 e alla sconfitta del gruppo nel marzo del 2019. u Nell’ottobre del 2019 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annuncia il ritiro delle truppe americane dal nord della Siria e la Turchia lancia un’offensiva per cacciare le forze curde dal territorio lungo il confine. Sentendosi abbandonati, i curdi concludono un accordo con il governo siriano per ricevere sostegno militare contro i turchi. La Turchia e la Russia (alleata di Damasco) si accordano per condurre dei pattugliamenti congiunti nel nordest della Siria, mentre gli Stati Uniti mantengono un contingente nella zona.
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Questo articolo è uscito sul numero 1384 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati