“La guerra è la sintesi dell’inferno”, ha dichiarato il primo ministro etiope Abiy Ahmed nel dicembre del 2019 a Oslo quando ha ricevuto il premio Nobel per aver firmato la pace con l’Eritrea. Oggi Abiy è di nuovo in guerra, questa volta contro il suo popolo. Il 4 novembre ha inviato le truppe nell’irrequieta regione del Tigrai, sostenendo che i soldati tigrini avevano sferrato un attacco contro una base dell’esercito federale. Nel Tigrai è stato dichiarato lo stato d’emergenza e le linee telefoniche e la rete internet sono state bloccate. Entrambi gli schieramenti hanno riportato vittime nel corso di violenti combattimenti (alcune fonti governative parlano di centinaia di morti e di raid aerei).Il conflitto minaccia d’infrangere le promesse di transizione democratica fatte da Abiy quando è diventato primo ministro nel 2018, e potrebbe far deragliare una delle più promettenti storie di successo economico dell’Africa. Inoltre indebolisce la reputazione di Abiy come leader in grado di unire i 110 milioni di abitanti dell’Etiopia sotto la bandiera della democrazia liberale. “Una guerra contro uno stato della federazione è una tragedia epica”, ha scritto su Twitter Tsedale Lemma, direttrice del sito Addis Standard.
Le tensioni con il Tigrai si sono acuite di pari passo con l’ascesa di Abiy, originario dell’Oromia. Il premier ha eliminato molti tigrini dai vertici dell’esercito, dei servizi di sicurezza e della coalizione al potere, mettendo fine al predominio trentennale del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) nella scena politica nazionale. Gli alti funzionari del Tplf sono tornati a leccarsi le ferite nella loro regione. A settembre, nonostante la decisione di posticipare le elezioni generali a causa del covid-19, il Tplf ha organizzato e vinto lo scrutinio nella sua regione. L’amministrazione centrale ha risposto tagliando i fondi al governo tigrino. All’inizio di novembre Abiy ha accusato il Tplf di armare milizie irregolari, e di aver superato una “linea rossa” rubando equipaggiamenti e armi da una base dell’esercito nazionale.
Avanti da solo
Secondo Christopher Clapham, esperto di Etiopia dell’università di Cambridge, non si sa se l’attacco ci sia stato veramente. In ogni caso il Tigrai è solo uno dei problemi di Abiy: “Non è riuscito a creare una coalizione in grado di formare una base di governo stabile. Sembra essere andato avanti da solo”.
La regione dell’Amhara, un’altra sede tradizionale del potere in Etiopia, è ai ferri corti con il Tigrai per vecchie dispute territoriali e questa settimana ci sono stati combattimenti al confine tra le due regioni. Nell’Oromia, dove vive più di un terzo degli etiopi, una parte della popolazione protesta contro Abiy perché pensa che abbia tradito gli interessi del suo gruppo etnico. Nel Tigrai è accusato di aver calpestato i diritti della regione con il pretesto di voler difendere l’unità nazionale. “L’idea del panetiopianismo è una sciocchezza”, ha detto Getachew Reda, esponente del Tplf. “Presuppone lo smantellamento del modello federalista per cui abbiamo combattuto duramente”, cioè la costituzione del 1995 che ha trasferito il potere a regioni definite su base etnica.
Non tutti sono delusi. “Abiy vuole un paese unito”, afferma Mesfin Worku, che vende cartine geografiche nel centro della capitale. “È una cosa buona per tutti gli etiopi”. Secondo Clapham, ad Abiy manca soprattutto la volontà di accettare i compromessi necessari a concretizzare i suoi progetti. “Due anni fa si sperava che l’avvento di un oromo al potere avrebbe posto le basi per un accordo politico. Ma non è andata così”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1384 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati